Gli artisti
I maestri Viggiutesi
Sul finire del XV secolo, con il venir meno delle istituzioni corporative, non si poté più parlare di una attività comune e tradizionale dei “Maestri Comacini”. La Famiglia subentrò come unica forma istituzionale di questa tradizione: così anche le Famiglie viggiutesi si inserirono in questa tradizionale “vocazione” all’architettura e alla scultura dell’Alta Lombardia. Dal XVI secolo in poi furono protagoniste del panorama artistico italiano famiglie di architetti, di scultori e di lapicidi viggiutesi.
Longhi Alessio – Architetto e Scultore | 1480 – 1553 |
Longhi Nicolo’ – Scultore | 1514 – 1577 |
Longhi Martino il vecchio – Architetto | 1534 – 1591 |
Argenti Gio Antonio dei Garzoni – Architetto | 1537 – 1590 |
Abbondio Antonio da Viggiuì (Buzzi) – Scultore | 1538 – 1595 |
Longhi Silla – Scultore | 1540 – 1620 |
Buzzi Lelio – Architetto | 1553 – 1619 |
Ponzio Flaminio – Architetto | 1559 – 1613 |
Longhi Onorio Architetto | 1562 – 1634 |
Buzzi Carlo – Pittore | 1577 – 1655 |
Longhi Martino il giovane – Architetto | 1602 – 1660 |
Buzzi Elia Vincenzo – Scultore | 1708 – 1780 |
Giudici Carlo Maria – Pittore e Scultore | 1723 – 1804 |
Longhi Gabriele – Architetto | 1737 – 1820 |
Buzzi Giuseppe Scultore | 1760 – 1838 |
Pellegatta Giacomo – Pittore di prospettiva | 1768 – 1850 |
Argenti Francesco Maria – Architetto | 1783 – 1818 |
Buzzi Leone Giacomo – Architetto Scultore | 1787 – 1858 |
Piazza Giovanni -Scultore | 1801 – 1827 |
Galli Giacinto – Scultore | 1806 – 1880 |
Butti Guido – Scultore | 1806 – 1878 |
Butti Stefano – Scultore | 1807 – 1880 |
Romano Carlo – Scultore | 1810 – 1883 |
Argenti Giuseppe – Scultore | 1811 – 1870 |
Buzzi Leone Giuseppe – Scultore | 1812 – 1843 |
Galli Antonio – Scultore | 1812 – 1861 |
Buzzi Giberto Francesco Maria – Scultore | 1813 – 1894 |
Buzzi Leone Francesco Maria – Scultore | 1814 – 1892 |
Argenti Giosue’ – Scultore | 1819 – 1901 |
Buzzi Leone Luigi – Scultore | 1823 – 1909 |
Bottinelli Antonio – Scultore | 1827 – 1898 |
Tantardini Antonio – Scultore | 1829 – 1879 |
Galli Rizzardo – Scultore | 1836 – 1914 |
Buzzi Giberto Luigi – Scultore | 1838 – 1915 |
Argenti Antonio – Scultore | 1845 – 1916 |
Butti Enrico – Scultore | 1847 – 1932 |
Giudici Primo – Scultore | 1852 – 1905 |
Bottinelli Angelo – Scultore | 1854 – 1890 |
Rusconi Enrico – Scultore | 1856 – 1933 |
Gunella Egidio – Scultore | 1864 – 1934 |
Bottinelli Giuseppe – Scultore | 1865 – 1934 |
Galli Angelo – Scultore | 1870 – 1935 |
Piatti Antonio – Pittore | 1875 – 1962 |
Piatti Luigi – Scultore | 1881 – 1939 |
Buzzi Reschini Giacomo – Scultore | 1881 – 1962 |
Galli Giuseppe – Scultore | 1903 – 1988 |
Conti Ferdinando – Scultore | 1906 – 1960 |
Freschetti Gottardo – Scultore | 1906 – 1979 |
Cedraschi Ettore – Scultore | 1909 – 1996 |
Ortelli Gottardo – Pittore | 1938 – 2003 |
Artisti Viggiutesi a Roma nei Sec. XVI – XVII
Con il XVI secolo, il territorio dei Maestri Comacini continuò a dare i natali ad architetti, scultori, decoratori, che svolsero la propria attività in particolare nella città di Roma e nei vicini centri laziali nel periodo tardo Rinascimentale, Manieristico e poi Barocco. I viggiutesi che emigrarono a Roma vi rimasero per diverse generazioni: i figli continuarono le opere dei padri e dei nonni pur mantenendo sempre un legame con il loro paese d’origine. I viggiutesi a Roma furono architetti, scultori, capomastri nelle opere di scalpello, lapicidi e scalpellini e “rifinitori” di statue antiche molto apprezzati. Un caso emblematico fu costituito dalla Famiglia dei Longhi che, pur lavorando per diversi Papi e Cardinali, realizzando opere assai significative, che rimasero nella Storia dell’Arte, ebbero comunque sempre come punto di riferimento Viggiù.
I Longhi avevano una propria Congregazione nella Venerabile Compagnia del Corpus Domini, esistente anche a Viggiù e facevano parte della Confraternita dei “Quattro Santi Coronati” la quale aveva una ramificazione in tutta Europa, con una propria sede in Roma, nell’omonima Chiesa dove sono sepolti questi scalpellini martirizzati.
Gli artisti Viggiutesi presso il Duomo di Milano
I rapporti lavorativi tra i viggiutesi e la Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, cominciarono dalla fine del XIV secolo, nel momento stesso in cui si mise in atto il grande progetto di rinnovamento della Basilica di Santa Maria Maggiore, situata ove oggi sorge il Duomo.
Negli annali della Veneranda Fabbrica, che riportano i dati dei registri contabili, è testimoniata, nel 1392, l’attività nella Fabbrica di Stefano da Viglue, “Magistri lapidibus vivis”. Fu costante, in effetti, la presenza di maestranze di Viggiù nel cantiere: tale presenza è stata documentata negli annali del Duomo, dagli albori della costruzione fino ai giorni nostri. In tali registri, è possibile individuare viggiutesi che svolsero la loro attività come amministratori, architetti, protostatuari, scultori, pittori, capifabbrica, capicompagnia, ornatisti, quadratori e che si sono distinti per le loro capacità artistiche e professionali.
Il primo scultore viggiutese di figura nominato negli annali è Antonio da Viggiù, il quale, nel 1559, scolpì una statua di Gesù portacroce, collocata e ancora presente in una apposita nicchia nella Sacrestia settentrionale del Duomo. Il primo architetto viggiutese presente nel cantiere milanese fu Lelio Buzzi che, verso la fine del XVI sec., gettò le basi dell’odierna facciata del Duomo. Suo figlio Carlo dipinse diversi quadroni, raffiguranti episodi della vita di San Carlo Borromeo, che ancora oggi vengono esposti nella navata centrale nella ricorrenza di San Carlo. Anche l’architetto viggiutese Onorio Longhi all’inizio del XVII secolo ha presentato i disegni per la facciata del Duomo, che però non venne realizzata.
Con l’inizio del XVIII sec. s’inaugurò un periodo d’oro per gli artisti e le maestranze viggiutesi che vide i protostatuari Elia Vincenzo Buzzi e Carlo Maria Giudici divenire figure di spicco della scultura del Settecento Lombardo. Con l’inizio del XIX secolo la Scuola viggiutese divenne la protagonista dei lavori per il compimento della facciata del Duomo: si ricordano l’Amministratore Giovanni Angelo Giudici che trattò con Napoleone Bonaparte il compimento del prospetto del Duomo, mentre, tra i disegnatori, i maestri dei marmi ed i modellatori sono da citare Giacomo Buzzi Leone, Francesco Buzzi Leone e Stefano Casanova. I cantieri della Veneranda Fabbrica in Camposanto, nella Cassina ed in Santa Redegonda avevano 42 botteghe, 25 delle quali erano gestite da viggiutesi che realizzarono in questi laboratori gli ornati, le guglie, gli archi rampanti che erano necessari al compimento del Duomo. Un lavoro non indifferente lo fecero anche gli scultori di figura nel realizzare le statue mancanti. Sono da ricordare : Argenti Bernardo, Argenti Giosuè, Argenti Giuseppe, Antonio Bottinelli, Enrico Butti, Guido Butti, Gio Batta, Pietro Buzzi Donelli, Giuseppe e Luigi Buzzi Leone, Luigi Cocchi, Carlo Gerolamo, Luigi e Pompeo Marchesi, Giovanni Piazza, Carlo Romano e Antonio Tantardini. Operanti nel XX secolo furono, invece, Nando Conti ed Ettore Cedraschi.
Gli altari eseguiti dai Viggiutesi
Con le direttive “INSTRUCTIONES FABBRICAE ET SUPELLECTILIS ECCLESIASTICAE”, emanate dopo il Concilio di Trento e messe in atto da S. Carlo Borromeo nella Diocesi Ambrosiana, si ebbe un radicale cambiamento nella costruzione degli altari delle Chiese. Si ordinò di prediligere, nel rinnovare gli altari, non più il legno ma i marmi lustri ed il Santo incoraggiò pure la creazione di numerose “Officine Sacre”.
Con queste direttive, le botteghe viggiutesi ebbero un notevole numero di commesse: nella zona ricca di pietre e marmi pregiati e con la presenza di mano d’opera qualificata, gli imprenditori locali furono privilegiati nelle ordinazioni di questi manufatti. Questi artigiani dornarono di magnifici altari sia le chiese delle città più prestigiose che quelle di modeste comunità, sparse in Lombardia, Piemonte e Canton Ticino. I committenti chiedevano sempre più spesso marmi con venature e colori rari, che la lucidatura fosse perfetta e che le forme architettoniche fossero corrette, nonché, che le sculture presenti sull’altare venissero eseguite da artisti di fama. Poiché l’esecuzione di queste opere marmoree richiedevano una notevole disponibilità finanziaria ed un’organizzazione sul lavoro a livello industriale si crearono botteghe il cui titolare poteva disporre di cave di marmo pregiate, di mezzi finanziari per pagare i marmi importati da cave lontane e la mercede per gli operai. Il titolare della bottega doveva avere capacità tecniche corrispondenti a quelle di un architetto, di uno scultore, di un marmista ed, inoltre, capacità necessarie per istruire e controllare i lavoranti.
Talvolta alcuni imprenditori trasferirono le loro botteghe dove le richieste erano maggiori riducendo, così, gli oneri dei trasporti dei manufatti i quali incidevano di molto sul costo finale dell’opera. Gli altari eseguiti dalle botteghe viggiutesi furono innumerevoli: dal primo censimento eseguito sino al 1995 furono circa duecento. In questi ultimi tempi si è raggiunto il numero di mille (in buona parte documentati e fotografati): gli artefici che li hanno eseguiti sono circa duecento ed altrettante sono le località in cui essi hanno operato, dal 1600 al 1950 circa.
Le opere cimiteriali
Già nel 1787, l’Imperatore Giuseppe II° d’Austria, proibì con una legge propria, di eseguire inumazioni entro le mura delle città dell’Impero Austro Ungarico. Nel 1804, con le nuove leggi napoleoniche, vietava di seppellire i morti nelle chiese ed attorno ad esse ed imponeva la costruzioni di cimiteri fuori dai centri abitati.
Veniva data la possibilità ad ognuno di poter collocare in quei luoghi dei monumenti sepolcrali, o lapidi, quali dimore o ricordi dei propri defunti, d’importanza e valore pari a quello delle case che essi abitavano durante la loro vita: questi luoghi divennero luogo di metamorfosi del corpo che si trasformava in spirito. Aumentarono così le botteghe specializzate in arte funeraria e prese vita un nuovo lavoro per gli scalpellini della zona viggiutese i quali si adeguarono alle richieste date dalle nuove leggi, proponendo ai congiunti del defunto: steli funerarie, tombe orizzontali con cimasa, cippi con urne, piramidi, obelischi, colonne intere o spezzate, corone di fiori in marmo. In seguito, con gli ampliamenti dei cimiteri, venne dato il permesso di edificare lungo i muri perimetrali delle cappelle per commemorare intere famiglie. Si pensava che così il pensiero della morte potesse essere reso meno doloroso dalla vaghezza dell’arte e il soggiorno eterno dei cari trapassati potesse addormentarsi nel ricordo.
Nella maggioranza dei monumenti funebri si respinge l’idea della morte e si preferisce vedere il defunto come vivo: il ritratto diventa allora uno degli elementi più costanti nelle decorazioni e, così, molte sepolture recano il busto o il tondo in rilievo del defunto nella sua posa più abituale. Più di un secolo di scultura funeraria ha portato i cimiteri, specialmente quelli principali delle città, ad essere dei veri e propri Musei all’aperto, dove molti viggiutesi costruirono i propri laboratori e la loro fortuna. Questa tipologia di lavoro non ebbe mai a mancare, sfuggendo così alla crisi della lavorazione della pietra.