Storia del Museo del Picasass
Storia del mestiere e degli uomini che hanno fatto la storia di Viggiù
Il Museo dei Picasass nasce agli inizi degli anni ‘80 del secolo scorso, nell’ambito del piano di riorganizzazione del Museo Butti, voluto dall’allora Conservatore del Museo, Gottardo Ortelli, e dall’Assessore alla Cultura del Comune, Fausto Zani. Tale progetto fu realizzato al ne di evitare che, con la scomparsa degli ultimi scalpellini e con la chiusura delle cave e delle ultime botteghe, andassero perse importanti documentazioni relative all’estrazione e alla lavorazione della pietra. Nel 1983, nella casa studio di Enrico Butti, venne così allestita una prima esposizione sull’Arte dei “Picasass” che, con l’ausilio di bacheche e di tabelloni, illustrava le fasi salienti di quell’antico mestiere.
Visto il buon esito della manifestazione si organizzò un simposio al quale presero parte gli ultimi scalpellini di Viggiù e, si chiese loro, in vista di un allestimento permanente, di donare al Museo Butti gli attrezzi per la lavorazione della pietra, utilizzati durante la loro attività lavorativa. La richiesta ebbe un forte riscontro: numerose donazioni vennero eettuate a favore del Museo e si cominciò a costituire il primo nucleo del
Museo dei “Picasass”. Le donazioni di utensili e di materiali continuarono nel tempo. Si creò così un notevole patrimonio di testimonianze, che fece sì che nel padiglione degli Artisti Viggiutesi, presso il Museo Butti, entro i primi mesi del 1995, venisse allestita la Mostra permanente dei “Picasass”.
L’evento ebbe una risonanza particolare a livello locale, regionale e anche nel vicino Canton Ticino. In questa occasione, inoltre, venne presentato il libro “PICASASS: Storia del mestiere e degli uomini che hanno fatto la storia di Viggiù”. Alcune parti di questa Mostra Permanente vennero esposte a Como, alla Fiera di Milano e a quella di Busto Arsizio, in concomitanza a mostre sui materiali lapidei. La mostra, nel settembre del 2000, venne allestita anche in Villa Recalcati, sede della Provincia di Varese, in occasione della visita del Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi, con l’intento di presentare le caratteristiche della millenaria tradizione viggiutese della lavorazione della pietra. In seguito, grazie al tenace impegno del Conservatore Prof. Nino Cassani, la mostra venne spostata denitivamente presso Villa Borromeo ed allestita nella bellissima ex scuderia,dove venne ampliata ed aggiornata con nuovo materiale documentario fotograco e con sculture provenienti dai cimiteri locali.
Elenco dei donatori degli attrezzi e dei macchinari esposti
- Casarico Stefano
- Cassani (Eredi)
- Cassani Emilio e Giovanni
- Cassani Nino
- Cereda Bruno
- Comolli Marmi (Arcisate)
- Comolli Angela e Olga
- Corti Guido
- Fontana Gianni
- Franzi Antonio
- Franzi Gibi
- Franzi Rosario
- Fusi Cesarino
- Galli Carlo
- Galli Giuseppe
- Gattoni Giampiero
- Gattoni Mario
- Guerra (Eredi)
- Gussoni Virginio
- Molina Giovanni
- Negretti Emilio
- Radice Giovanni
- Rizzi Arturo
- Rizzi Natalino
- Rossi & C. Marmi e Graniti, Arzo
- S.O.M.S. Viggiù
- Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano
- Zini Stefano
Le botteghe Viggiutesi dei “Picasass”
Nelle botteghe dei Picasass, venivano conservati tutti gli attrezzi ed i bozzetti in gesso delle loro opere. Esse venivano collocate in modo funzionale al fine di eseguire al meglio i lavori e costituivano un altro importantissimo nucleo di informazioni sull’attività degli scalpellini.
Nel paese, le botteghe avevano una struttura a carattere prevalentemente familiare: il sapere veniva, dunque, trasmesso di padre in figlio, o tra fratelli e cognati. Ciò avveniva anche in relazione al patrimonio degli attrezzi, ai cartoni, ai modelli e alle materie prime. Varie planimetrie, rilevate in occasione dei vari censimenti parrocchiali e comunali, dal 1574 al 1931, riportano la dislocazione dei laboratori nelle vie del paese.
I più antichi documenti sull’organizzazione delle botteghe, sono l’Editto di Rotari del 22 novembre del 643 (art. 144-145) e il Memorandum a supplemento dell’editto di Liutprando del 28 febbraio del 713 d.C.. Nei secoli successivi, si formarono Associazioni di cui facevano parte coloro che praticavano lo stesso mestiere i quali si davano delle regole a salvaguardia di interessi e privilegi comuni, con l’avallo delle autorità locali.
Le Associazioni si chiamarono in modi diversi e in varie lingue: compagnie, paratici, gilde, ministeria, fraglie, università. In cambio del riconoscimento ufficiale queste si impegnarono a mantenere al loro interno una rigorosa disciplina: si diedero degli statuti con un ordinamento gerarchico e vennero rette da un abate o da un console, o da un priore, o da un gastaldo, assistito da un consiglio, il quale esercitava una severa vigilanza sui soci. Contro gli stessi, infatti, egli poteva emanare condanne che avrebbero avuto l’avallo delle autorità civili. Le associazioni svolgevano attività di gruppo, organizzavano solenni cerimonie, sostenevano con sussidi i vecchi operai, le vedove e gli orfani, dotavano le nubende e tutelavano i disoccupati: erano, insomma, una vera e propria forza sociale. Esse divennero anche autorità e furono il fondamento della futura bottega.
La pubblicità delle botteghe Viggiutesi in Italia e all’Estero
Viggiù raggiunse il suo culmine di operosità nelle attività legate alla lavorazione della pietra tra l’Unità d’Italia e la Prima Guerra mondiale contando una media di 90 botteghe con più di 600 addetti. Numerosi erano pure i “Cavandoni” addetti all’estrazioni della pietra che lavoravano nelle grandi cave dei Monti, dei Catella, dei Donghi, dei Bernasconi, dei Pellegatta, dei Beltrami e della Cooperativa Marmisti. Altri erano occupati nelle segherie di pietre e marmi a Baraggia.
A Viggiù, oltre che segherie di marmi, vi erano anche officine meccaniche specializzate nella costruzione di seghe per marmi. Tra queste ditte storiche ricordiamo quella dei Fratelli Galli, mentre, le Ditte Molina e Donghi erano specializzate nella produzione di attrezzi per la lavorazione della pietra (scalpelli, punte, mazzuoli, ecc.). Inoltre, sempre nella nostra zona, è da ricordare la Ditta Forchini che fu la prima in Italia a produrre macchine per la fabbricazione delle bocciarde.
Per far conoscere e pubblicizzare i vari laboratori e le cave, già sul finire dell’800 i proprietari delle botteghe si avvalsero della stampa, sia in Italia che all’estero. Così, anche quando per vari motivi, le imprese viggiutesi dovettero dislocare le proprie attività all’estero rimase un’ampia documentazione sulle loro attività nel campo della lavorazione delle pietre e dei marmi.
L’emigrazione definitiva dei Picasass
I movimenti migratori generatisi nell’area viggiutese costituirono una tradizione secolare determinata proprio dal fatto che gli abitanti di Viggiù erano specializzati nella lavorazione della pietra. Le prime testimonianze documentali di questa consuetudine possono essere rintracciate nell’Archivio della “Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano” dove, sul finire del secolo XIV, venne attestata la partecipazione, nella costruzione del Duomo, di Stefano da Viglue, presenza continuata nei secoli da una folta schiera di viggiutesi che hanno prestato la propria opera presso il Duomo.
Nei secoli successivi questi scalpellini si aggregarono ad altri maestri comacini nei vari cantieri aperti per la costruzione di cattedrali e nobili palazzi. Tra di essi spiccano per importanza dei loro interventi, Alessio e Girolamo Longhi, 1408-1450, impiegati nella costruzione del campanile del Duomo di Trento, del palazzo Magno nel castello del Buon Consiglio, di altre chiese e palazzi nella città di Trento e della Chiesa di Corte e del palazzo imperiale nella città di Innsbruk. Nel secolo successivo un certo numero di architetti, scultori e scalpellini emigrarono in massa nella città di Roma, impegnati nella costruzione di nuove chiese e palazzi, trattenendosi nella città anche nel secolo successivo. Tra il 1700 e il 1800, l’emigrazione delle maestranze viggiutesi ebbe un carattere stagionale: i magistri si spostavano in diversi città europee nel periodo da febbraio a novembre, per esportare la propria arte e i propri manufatti nella buona stagione, trascorrendo, invece, in famiglia i mesi invernali. Ciò che causò il cambiamento epocale della nostra emigrazione furono, invece, i grandi avanzamenti nel campo della tecnica costruttiva che si svilupparono sul finire del XIX secolo, soprattutto a causa dell’utilizzo del cemento armato nelle grandi costruzioni il quale soppiantò l’uso della pietra. Come diretta ripercussione tutte le attività estrattive della pietra e le attività artigianali ad esse collegate entrarono in crisi. Agli operai ed agli imprenditori della nostra zona non rimase altra soluzione che emigrare oltre oceano e soprattutto nel Nord America, zona ricca di cave di granito.
Il lavoro di queste nostre maestranze venne da tutti apprezzato e la loro emigrazione da stagionale divenne definitiva. Purtroppo un grave problema colpì la maggior parte di questi emigranti: la malattia della silicosi, generata dal respirare la polvere che veniva prodotta durante la lavorazione della pietra, malattia che costituiva
l’anticamera della morte. In poche decine di anni i pochi Picasass che rimasero in questi paesi andarono a scomparire.