Le cave
Le cave hanno nutrito l’antica industria delle botteghe d’arte del paese
Il ricco paese di Viggiù, nella Valceresio, in Provincia di Varese, si stende verso oriente in una pittoresca vallata posta fra due ameni colli, il monte Sant’Elia ed il monte San Martino, da cui ha preso il nome di “Viclius Vicus Julii in clivo situs”.
Nella zona circostante al paese, verso ovest, vi è una massa imponente di pietra arenaria nella quale, nell’arco di un millennio, furono aperte circa sedici cave di calcarenite della miglior qualità, detta pietra di Viggiù. Tali cave hanno nutrito un’antica industria e la loro pietra ha costituito materia prima per le moltissime botteghe d’arte del paese dove gli scalpellini viggiutesi la sapevano utilizzare con grande maestria, creando con questo materiale semplice ed umile mirabili gioielli d’arte. Anche nelle vicine cave di Brenno Useria si cavava una pietra molto simile alla pietra viggiutese. Così pure a Saltrio, da cave molto simili per conformazione a quelle viggiutesi, si estraeva una pietra compatta con sfumati colori le cui tonalità andavano da un grigio molto chiaro, al cenerino sino al nero.
Nel vicino paese di Arzo, in territorio Svizzero, tuttora, si estrae il broccatello e il rosso d’Arzo, calcare compatto di colore variante, con venature che vanno dal bianco al giallo, dal rosa al rosso, dal viola al grigio, nel quale si trovano di sovente tracce di fossili. Tale tipo di pietra diventa particolarmente pregiata a seguito di un processo accurato di pulizia. Chi visita le cave di Viggiù, Brenno e Saltrio, gode di uno dei più curiosi spettacoli, dove ad arte, sono stati lasciati massi a guisa di grandi pilastri che sembrano creare grandi portici: all’interno delle stesse, gli scalpellini, per intere generazioni, sono stati a lavorare, protetti dalle intemperie. Le cave di Viggiù, all’inizio dell’‘800 furono onorate della visita di Sua Altezza Serenissima l’arciduca Vicerè del Lombardo Veneto e, all’imboccatura di una di esse, fu posto un monumento con una lapide per perpetuarne l’evento e di questo ne fu fatta una bellissima incisione.
Il trasporto dei marmi e delle pietre
Il trasporto dei materiali lapidei, che per loro natura, hanno pesi rilevanti e sono di ingombranti dimensioni, è sempre stato uno dei problemi principali nella gestione delle attività legate all’estrazione della pietra e delle botteghe che si occupavano della loro lavorazione. Un mezzo per ridurre al minimo questi inconvenienti fu quello di diminuire durante l’estrazione il quantitativo di materiale, cavando blocchi che già avevano le misure esatte richieste dai committenti. Per questo motivo, i pezzi venivano sgrezzati e portati a finitura quasi completa direttamente in cava.
Prima dell’avvento della ferrovia, mezzo idoneo al trasporto su grandi distanze, si privilegiavano le vie d’acqua servendosi di comballi (grosse chiatte) che consentivano grandi carichi ed una relativa rapidità nel trasferimento dei materiali lapidei. Per i viggiutesi, il metodo più pratico per il trasporto era quello di portare i materiali con schelcie, carri, carri matti, carri piani, sino a Capolago, borgo posto sulle rive del lago di Lugano. Da lì si utilizzavano barconi sino a Ponte Tresa, indi, si proseguiva sul fiume Tresa sino a Luino: da questo porto con comballi, si potevano raggiungere, attraverso il fiume Ticino ed una rete di canali navigabili, Milano, Pavia, Novara ed altre città. Un percorso alternativo per le vie d’acqua era il trasporto via terra fino a Como, per raggiungere da questa città, via lago, la Valtellina, Lecco e la Brianza. Per i tratti più brevi via terra il viaggio era molto più difficoltoso, specie nell’attraversamento dei ponti che, a causa del peso rilevante, potevano cedere.
Il trasporto più memorabile, raccontato dai nostri nonni, fu quello delle sedici colonne di marmo nero di Saltrio al Cimitero di Staglieno di Genova, nel 1863. Queste colonne vennero estratte in una delle cave di Saltrio appartenente alle famiglie Robbiani e Cassi: erano lunghe 7 metri e 60 cm con un diametro di un metro e 16 cm. Già il trasporto dalla cava fino a Viggiù, al laboratorio dei Fratelli Catella, dove vennero tornite e lucidate a regola d’arte, fu arduo e le colonne dovettero essere sottoposte a diverse modifiche. Per il trasporto alla stazione di Como Borghi, poi, si dovette attrezzare un apposito carro, fatto costruire a Milano, dal costo di ben seimila lire il quale richiedeva per il suo traino ben 48 buoi: il carro venne fatto transitare per il Canton Ticino, una colonna per volta ed il passaggio di questo singolare trasporto per i paesi generava sempre l’assembramento di una folla di curiosi. Raggiunta la città di Como un fotografo, davanti a Porta Vittoria, ne immortalò l’evento. Il Regio Ministero dei Trasporti Pubblici, colpito dall’ardua impresa eseguita dai Fratelli Catella stabilì con uno speciale decreto che la spesa per il trasporto fosse ribassata del 75%.